Come noto, la nuova fattispecie introdotta dal 2015 di applicazione del reverse charge riguarda talune prestazioni di servizi relative ad edifici. Nell’ambito del recente intervento l’Agenzia delle Entrate ha affrontato, tra l’altro, la delicata questione della differenza tra una “cessione di beni con posa in opera” (esclusa dal reverse charge) ed una “prestazione di servizi” (soggetta al reverse charge) facendo anche riferimento all’orientamento desumibile dalla giurisprudenza comunitaria. Si ritiene pertanto utile esaminare le considerazioni dei Giudici comunitari al fine di focalizzare gli elementi necessari per identificare un’operazione quale “cessione di beni” ovvero “prestazione di servizi”.

Secondo la sentenza della Corte di Giustizia UE, relativa alla causa C-111/05, depositata il 29.3.2007, un contratto riguardante la cessione, dopo l’installazione e il collaudo, di un cavo a fibre ottiche che collega 2 Stati UE deve essere considerato cessione di beni e non prestazione di servizi ai sensi della Direttiva n. 2006/112/CE, quando risulta che:

• il cavo, dopo il collaudo, sarà trasferito al cliente che ne potrà disporre come proprietario;

• il prezzo del cavo rappresenta una parte chiaramente preponderante del costo totale dell’operazione;

• i servizi del fornitore si limitano alla posa in opera del cavo, senza alterarne la natura e senza adattarlo alle esigenze specifiche del cliente.

La sentenza è stata assunta dall’Agenzia delle Entrate nella recente Circolare 22.12.2015, n. 37/E, quale “pietra miliare” per la distinzione tra “fornitura con posa in opera” e “prestazione di servizi”, al di fornire chiarimenti in merito all’ambito applicativo del reverse charge nel settore edile previsto dall’art. 17, comma 6, lett. a-ter), DPR n. 633/72, per le prestazioni di servizi di pulizia, demolizione, installazione di impianti e completamento relative ad edifici. Dopo aver esaminato i principi contenuti nella sentenza comunitaria gli stessi saranno confrontati con la prassi e le sentenze della Corte di Cassazione richiamate nella citata Circolare n. 37/E.

IL FATTO OGGETTO DELLA CAUSA C-111/05

I Giudici comunitari sono stati chiamati ad esaminare la seguente questione: una società svedese operante nel settore delle telecomunicazioni (posa in opera, manutenzione e riparazione di cavi a fibre ottiche) intendeva concludere contratti per la cessione e l’installazione, tra la Svezia e un altro Stato UE, di un cavo sottomarino, utilizzato dall’acquirente per offrire servizi di trasmissione a diversi operatori del settore delle telecomunicazioni. La società svedese avrebbe:

• acquistato il cavo e gli altri materiali necessari da diversi fabbricanti;

• noleggiato una nave con il suo equipaggio;

• assunto personale specializzato nella posa in opera dei cavi.

Il cavo doveva essere fissato e interrato sul territorio continentale svedese per essere poi posato e interrato nei fondali marini prima nelle acque interne e nel mare territoriale svedese, poi sulla piattaforma continentale della Svezia e dell’altro Stato UE, per essere infine fissato e interrato nel territorio continentale di quest’ultimo. A causa della distanza tra i punti di ancoraggio, in alcuni casi sarebbe stato necessario allungare il cavo con un procedimento tecnico piuttosto complesso. In circostanze normali, il costo del materiale ammontava all’80-85% del costo totale.

Dopo la posa in opera e l’effettuazione di taluni collaudi preliminari, è previsto che il diritto di proprietà sul cavo sia trasferito all’acquirente, mentre il lavoro sarebbe proseguito con ulteriori collaudi per circa 30 giorni, durante i quali la società svedese avrebbe rimediato ad eventuali difetti.

Secondo l’Amministrazione fiscale svedese l’operazione rientrava nel suo complesso tra le “prestazioni di servizi”. La società svedese, non condividendo tale interpretazione, si è appellata alla Corte amministrativa svedese che ha chiesto ai Giudici comunitari di valutare se non tornassero applicabili le disposizioni sulle “cessioni di beni” al fine di individuare anche il “luogo di tassazione” (territorialità) dell’operazione. In particolare sono state sottoposte le seguenti questioni pregiudiziali:

1) Se un’operazione imponibile riguardante la fornitura e la posa in opera di un cavo, collocato fra il territorio di due Stati membri e anche al di fuori del territorio comunitario, nella quale il cavo vero e proprio rappresenta una quota chiaramente preponderante dei costi totali, debba essere considerata come cessione di un bene, ai fini dell’applicazione delle disposizioni della sesta direttiva (…) riguardanti il luogo delle operazioni imponibili.

 

2) Qualora tale operazione sia invece da considerare come una prestazione di servizi, se debba ritenersi che tale servizio presenti un collegamento con un bene immobile tale che il luogo della prestazione va determinato applicando l’art. 9, n. 2, lett. a), della sesta direttiva.

3) Qualora una delle questioni sub 1) o sub 2) sia risolta in senso affermativo, se l’art. 8, n. 1, lett. a), della [sesta] direttiva o, in subordine, l’art. 9, n. 2, lett. a), di quest’ultima debba essere interpretato nel senso che l’operazione deve essere frazionata in base alla collocazione geografica del cavo.

4) Qualora la questione sub 3) sia risolta in senso affermativo, se l’art. 8, n. 1, lett. a), della [sesta] direttiva o, in subordine, l’art. 9, n. 2, lett. a), di quest’ultima, in combinato disposto con gli artt. 2, punto 1, e 3, n. 1, debba intendersi nel senso che l’IVA non deve essere pagata su quella parte della cessione o della prestazione di servizi che riguarda una zona al di fuori del territorio comunitario.

LA SENTENZA 29.03.2007, CAUSA C-111/05

Per la Corte UE l’operazione sopra descritta rientra tra le “cessioni di beni” in quanto:

• il contratto previsto tra le due società riguarda la cessione, dopo il completamento dell’installazione e la realizzazione di collaudi, di un cavo posto in opera e in grado di funzionare;

• la circostanza che la fornitura del cavo sia accompagnata dall’installazione di quest’ultimo non osta, in linea di principio, a che l’operazione rientri nell’ambito di applicazione delle cessioni di beni;

• il fatturato che il fornitore ricava dall’operazione è costituito, per la maggior parte, dal costo del cavo e del materiale residuo, che rappresenta l’80-85% dell’importo totale dell’operazione (se le condizioni sono sfavorevoli la percentuale del costo del materiale rispetto al costo totale diminuisce).

Al riguardo, prosegue la Corte, se è vero che il rapporto tra il prezzo del bene e quello dei servizi è un dato obiettivo che rappresenta un indice di cui si può tener conto nel qualificare l’operazione, è altrettanto vero che il costo del materiale e dei lavori non deve, da solo, assumere un’importanza decisiva. Per qualificare l’operazione occorre, quindi, esaminare anche l’importanza della prestazione di servizi rispetto alla fornitura del cavo.

A tal proposito, anche se è indispensabile che il cavo sia istallato per poter essere utilizzato, e anche se l’incorporazione del cavo al suolo presenta una notevole complessità e richiede mezzi rilevanti, non ne consegue che la prestazione di servizi abbia un carattere prevalente sulla cessione del bene. Infatti, dalla descrizione delle clausole contrattuali risulta che i lavori da compiere dal fornitore si limitano alla posa in opera del cavo e non hanno lo scopo o il risultato di alterare la natura dello stesso e neppure quello di adattarlo ai bisogni specifici del cliente.

IL REVERSE CHARGE INTERNO NEL SETTORE EDILE

Alla luce della sentenza sopra riportata e della citata Circolare n. 37/E attinente a talune prestazioni di servizi relative ad edifici, si ha una “cessione di beni” da assoggettare ad IVA secondo le ordinarie regole di fatturazione e rivalsa, quando contemporaneamente:

• il contratto previsto tra parti riguarda la cessione, dopo il completamento dell’installazione e la realizzazione di collaudi di beni posti in opera e in grado di funzionare;

• il costo del materiale è preponderante rispetto all’importo fatturato dal fornitore;

• il bene fornito mantiene la sua natura originaria;

• il bene viene installato secondo condizioni standard scelte dal fornitore e senza che il cliente chieda di adattare i beni forniti a suoi bisogni specifici. Argomentando al contrario, si è in presenza di una “prestazione di servizi” da assoggettare al reverse charge al verificarsi di una soltanto delle seguenti situazioni:

• il cliente non acquista il bene al termine dell’operazione perché lo stesso resta di proprietà del prestatore oppure viene acquistato da un operatore “terzo”;

• il contratto previsto tra le parti non fa riferimento ad una fornitura di beni ma al “risultato” di un opera;

• il costo del materiale fornito sia minoritario rispetto all’importo totale fatturato dal cedente / prestatore;

• il bene fornito perde la sua natura originaria;

• il bene viene installato secondo regole specifiche e dettagliate richieste dal cliente per adattarlo a suoi bisogni specifici propri.

Merita evidenziare che la Corte di Cassazione si è espressa in più occasioni “in linea” con l’orientamento sopra esaminato (sentenze 21.5.2001 n. 6925 e 2.8.2002 n. 11602).

Dalle citate sentenze risulta, infatti, che occorre valutare se le parti abbiano inteso attribuire prevalenza all’attività lavorativa prestata o all’elemento della materia, senza che sia di per sé dirimente il dato oggettivo del raffronto tra valore della materia impiegata e valore dell’opera prestata.

Nella citata sentenza n. 6925, in particolare, è stato precisato che “si ha appalto quando la fornitura della materia costituisce un semplice mezzo per la produzione dell’opera ed il lavoro è lo scopo essenziale del negozio, in modo che le modifiche da apportare al bene consistono non già in accorgimenti marginali e secondari diretti ad adattarlo alle specifiche esigenze del committente della prestazione, ma sono tali da dar luogo ad un servizio che, sotto il profilo qualitativo, assume valore determinante al fine del risultato da fornire alla controparte”.

SUBAPPALTI EDILI

Con particolare riferimento ai subappalti edili di cui alla diversa ipotesi di reverse charge prevista dall’art. 17, comma 6, lett. a), DPR n. 633/72 (prestazioni di servizi, diversi da quelli di cui alla lett. a-ter, compresa la prestazione di manodopera, rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili ovvero nei confronti dell’appaltatore principale o di un altro subappaltatore) si riscontra che alcune sentenze di merito (CTP Milano, sez. XV, 17.5.2013, n. 194, CTR Milano, sez. 32, 18.6.2014, n. 4177 e CTP Reggio Emilia, sez. 2, 15.10.2015, n. 407), ravvisano il configurarsi del subappalto per esecuzione di opere nel settore edile quando la fornitura di beni è accompagnata da: • un impiego di mano d’opera specializzata per l’esecuzione di opere “a regola d’arte”;

• l’obbligo da parte del fornitore / prestatore ad osservare la disciplina di cantiere;

• il controllo e la custodia del materiale di propria fornitura;

• l’esecuzione di opere provvisionali per la sicurezza nelle operazioni di posa in opera;

• l’assistenza e il collaudo;

• l’assicurazione, garanzia e responsabilità per eventuali danni arrecati a terzi;

• la responsabilità per la buona esecuzione dei lavori; • una clausola arbitrale;

• l’espressa indicazione in contratto che la prestazione è finalizzata alla realizzazione di una parte essenziale ed inscindibile di un fabbricato in corso di costruzione o ristrutturazione, quale può essere, ad esempio, la pavimentazione o il rivestimento delle pareti, opere che richiedono una notevole preparazione tecnica da parte di chi esegue tali interventi, per evitare contestazioni, anche sotto il profilo estetico, da parte del committente.